Testi critici
Patrizia Ferri
“Profonda armonia della scultura”
Testo in catalogo, 1991
Ci sono artisti tendenzialmente eclettici, infedeli per vocazione, secondo i quali l’arte è attraversamento incessante di stilemi disparati, utilizzo di materiali eterogenei e impiego di tecniche varie, e altri fondamentalmente attratti verso un rispetto monogamico della materia riconducibile a un’istanza di formalizzazione tecnica da cui scaturisce il senso classico di un’energia equilibrata.
In Immacolata Datti l’appartenenza a questa categoria è resa ancora più stringente anche da una scelta tematica affrontata dai primi anni ottanta, dopo una vicenda creativa che ha inizio nel decennio precedente, da quando rinnovava come scultrice il suo atto di fede nelle possibilità della creta in quanto mezzo specificamente plastico consacrandolo alle implicazioni infinite, ancestrali e magiche del suono rispetto alla forma. Dal concetto, secondo la cultura peruviana, del suono come essenza proveniente dall’interno dell’individuo come una cassa armonica e di risonanza al concetto di spazio interno delimitato della scultura, che per definizione tende a recintare lo spazio nei confini di un’immagine tridimensionale che rasenta la realtà mediante l’epidermide dei materiali.
Lo spazio interno come vuoto percepibile viene esorcizzato mediante controllo e compressione, approdando al luogo di rappresentazione formale di un’interiorità che la materia come assenza possiede.
Nella scultura contemporanea cìè chi aspira all’eternità dell’opera traducendo la creazione in materiale, pietra o metallo, che sfida la caducità e chi al contrario la evidenzia avvalendosi di quelle materie naturali come l’argilla o il legno così suscettibili rispetto alle insidie del divenire. La sensibilità come vulnerabilità è un’altra costante di un lavoro declinato secondo una modalità di ricerca della “povertà estetica” come perseguimento della perfezione formale secondo la filosofia giapponese, di una bellezza fuori dal tempo in una meditata, riflessiva e composta semplicità di opere diverse tra loro ma molto simili in quanto a fattura e atmosfera e per questo esemplari di una poetica. Datti costruisce con leggerezza e severità, compostezza e energia; ordine e decostruzione, fissando nella materia l’idea generatrice dell’opera e decantandone la complessa significanza rispetto ad una visione del mondo e delle cose improntata al ritmo vitale e arcaico della creazione originale che attraversa e intesse archetipi di molteplici culture legandole in un nodo inscindibile di luogo, spazio e tempo. La forma è bloccata nell’istante del passaggio quando l’udibile diventa visibile. “Il suono diventò luminoso, un astro, dio creatore. Si propagò diventò spazio, movimento e tempo. Si fece ritmo, diventò materia (…) Come le leggere onde delle vibrazioni producono suono, così le onde spesse producono luce. Questa è la materia: per la quale la vita invisibile diviene conosciuta divenendo prima udibile poi visibile”. La scultura è forma del suono, materia della trasparenza.
L’artista accetta il movimento, cifra il proprio linguaggio in senso circolare e concavo determinando un’ondulazione in cui micro e macrocosmo si incrociano, dove caos e cosmos trovano fuoco per la propria combustione. Il suono è acqua, il ritmo è fuoco. L’opera procede come un’onda interna che snoda la forma sottoponendola a un’accensione interna.
Solo partendo da un paesaggio di rovine si può ricominciare ad attuare un intento costruttivo e solo calandosi interamente nel materiale si approda alla tradizione della scultura come dinamica tra spazio e tempo da architetture limitrofe fino alle colonne dei templi, per la quale l’artista affronta
E approda ad una realtà in fieri e sconosciuta.
Il tempo della creazione è per definizione agitato e tumultuoso, sconvolto da un andamento sismico a cui è estranea la fissità geometrica del progetto perché prevede un avvicinamento oscillante e progressivo. “Noi siamo un suono” dice Immacolata Datti, per cui il linguaggio dell’opera si assesta in una dimensione non logico-discorsiva ma di comunicazione totale e compenetrante, garantendo un’immagine che non si ferma alla superficie.
“All’inizio fu un suono” scrive “uscì dal nulla, dal vuoto dell’abisso primordiale, della caverna, punto nero, vuoto dal quale escono i suoni. Il sole uscì dall’antro, il suono diventò luminoso”. Dapo aver lavorato realmente e non solo metaforicamente all’interno di una grotta nel recupero di quel rapporto con le viscere della terra e con l’origine del suono e persistendo tutt’oggi in uno splendido isolamento creativo anche se alla luce del sole, Datti cerca di dare un senso alle sue immagini e reale profondità alla caverna del proprio immaginario. “Dietro ogni caverna ven’è un’altra più profonda, deve essercene un’altra più profonda, un mondo più vasto, più estraneo, più ricco sotto la superficie, un abisso al di sotto di ogni fondo, al di là di ogni fondazione” (Nietzsche). Proprio secondo l’indicazione nicciana, il suono di un respiro profondo promana da una scultura che nasce sulle stratificazioni di memoria che abitano immagini convesse e con alvei maternamente e mediterraneamente accoglienti: Colonna diruta, Smirna, Medievale. Opere radicate nell’iconografia complessa di un territorio antropologicamente italiano che affonda in un passato che è quello del medioevo, in un sentimento spaziale e temporale dove esterno e interno coincidono senza presunzione razionale o attitudine analitica. Nei maggio parte dei casi assumono la posizione verticale fondando la propria statica precarietà su un fluido movimento di peso e legerezza, segno e materia come promanazione di un sentimento travalicante, cosmico. Non dimenticano però l’abbandono sotto il segno dell’inclinazione, letteralmente del clinamen come Tastiere a confronto, Scala modulare, Xilofono, Tamburo di pietra.
Le sculture di Immacolata Datti concretizzano l’armonia che rende fluido lo scorrere della sensibilità e eterno il fuoco dell’intelletto creativo , quell’essenza duale e simmetrica che nella laicità del mondo contemporaneo rende persistente la sacralità dell’arte, formalizzazione di visibile e invisibile nel luogo simbolico della rappresentazione dove “i corpi si spiritualizzano e gli spiriti prendono corpo” (H. Corbin). La materia si fa suono e il suono diviene forma.