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Gabriella Dalesio

“Spazio che si fa forma ritmata – Tempo che vibra tra suono e forma”
Il Paese delle Donne, 1986


“Il SUONO diventò luminoso, un astro, un dio creatore. Si propagò diventando spazio, movimento e tempo. Si fece ritmo, diventò materia”.

“Come le leggere onde delle vibrazioni producono suono così le onde spesse producono luce. Questa è la materia per la quale la vita invisibile diviene conosciuta diventando prima udibile, poi visibile”.

Queste riflessioni sono a commento di u’opera in terracotta di Immacolata Datti Mazzonis “Percussione” (gong in ottone e terracotta con spessori differenti che produce suoni diversi) e rappresentano uno degli elementi centrali del lavoro dell’artista.

È infatti il suono all’origine delle sue sculture. Il suono che è una vibrazione del proprio corpo, del suo corpo stesso, parte dal suo diaframma ed origina la forma, la forma che è suono che si fa materia. Le sculture di Immacolata Datti Mazzonis sono forme-suono, non forme che suonano perché in esse esiste un processo inscindibile, generativo di vuoto e di pieno, il suono (onda sottile tra l’invisibile-udibile e il visibile-tattile) e la forma (un’onda più spessa che apparentemente si ferma). Perché apparentemente? Perché queste sculture non sono ferme, ritornano producendo suono al suono che le ha originate. Ritmo quindi che interessa il limite tra il visibile e l’udibile.

Ed è proprio dall’esperienza del proprio orpo che vibra come tratto ritmato vitale, come suono, sospeso tra le due soglie che per la Mazzonis –come lei stessa mi racconta- ha inizio coscientemente un proprio percorso espressivo. “Fu in un viaggio di studio sulla cultura andina, in Perù –mi dice- a seguito di un curandero (sacerdote-medico) che fui sensibilizzata al discorso del suono come suono interno, proveniente dal mio stesso corpo.

Una sua opera “Creazione” così lei stessa la commenta “All’inizio fu un suono, uscì dal nulla, dal vuoto, dall’abisso primordiale, dalla caverna, punto nero, vuoto dal quale escono i suoni. Il sole uscì dall’antro, il suono diventò luminoso”. È quindi una visione del mondo, delle cose legato ad un ritmo vitale, arcaico che riattraversa la creazione là dove si origina l’esistenza. Ed è attraverso una rielaborazione di archetipi –che accomuna le culture le più diverse- che un discorso di luogo, di tempo, di spazio si fa forma ritmata, non statica, bloccata in un tempo frazionato, ma un tempo che vibra nell’intervallo tra suono e forma. “Om” ad esempio, è una scultura che si origina e produce questo suono “O” e “M”. Come mi spiega l’artista “essa rappresenta l’unione di due zone cosmiche, quando dico “O” produco un suono a bocca aperta, è la coscienza che si esprime, quando dico “M” esso è prodotto dalle mie labbra serrate, è l’inconscio che si esprime. Nell’“Albero –tamburo” (un’altra sua scultura in terracotta) –le forme più antiche di tamburo erano ricavate da un tronco d’albero- il tamburo è collocato ritto, inclinato verso la stella polare perché il suo suono ha lo scopo di congiungere verticalmente il cielo con la terra, il suo linguaggio riduce la contraddizione a suono e ritmo, il suono è acqua, il ritmo è fuoco”.

Immacolata Datti Mazzonis lavora a Roma nel suo studio di Via Sistina 121, alcuni anni orsono lavorava all’interno di una grotta proprio nel recupero di quel rapporto con la terra, con le viscere di essa come suono. Ultimamente nel suo studio laboratorio un gruppo di bambini della scuola di musica di Testaccio di Giovanna Marini, si sono esibiti in una performance con le sue sculture in un percorso che dal suono come primo atto generativo giungesse alla musicalità, al concerto, alla voce, al coro.